lunedì 30 dicembre 2013

Reportage. Nell’Istria dell’esodo rimosso ormai solo le pietre parlano italiano


da barbadillo.it

L’ingresso nell’Unione europea non ha provocato grandi entusiasmi popolari, almeno in apparenza. Un paio di bandiere blustellate, un mega cartellone dedicato all’Ue (ma con una incongruente bandiera americana) e i manifesti pubblicitari con i quali banche e società di carte di credito danno il benvenuto alla Croazia. Fin troppo facile ipotizzare che siano loro, i banchieri, i più felici dell’arrivo di “carne fresca” nel grande mercato di Eurolandia. I croati, da parte loro, sembrano già rassegnati: «Come primo effetto aumenteranno i prezzi, lo sappiamo», dice sconsolato Piero, un pensionato di origine italiana di Rovigno, in Istria.
Dobrodosli, benvenuti in Croazia! Anzi, in Istria, paradiso estivo per centinaia di migliaia di turisti del Nord e di molti Paesi dell’Est Europa, per i quali la penisola dell’alto Adriatico rappresenta il più vicino sbocco al mare. Ma le coste rocciose e incontaminate di Rovigno (Rovinj), Pola (Pula), Promontore (Premantura) e Abbazia (Opatija) rappresentano una delle mete preferite anche per gli italiani, al secondo posto dopo i tedeschi nella classifica dei villeggianti che approdano in Istria e Dalmazia.
Ad attirare i nostri connazionali sono le acque cristalline, le centinaia di isole e isolotti, la bellezza della natura incontaminata e i prezzi ancora abbordabili, anche se ormai molto vicini a quelli dell’Europa occidentale. Pochi turisti italiani, invece, sembrano attratti dall’incredibile viaggio nella nostra storia e memoria collettiva che può regalare anche un soggiorno di pochi giorni nelle terre istriane. Ai vacanzieri distratti potrà sembrare curioso il bilinguismo ufficiale che regna nei principali Comuni della penisola, così come la bandiera tricolore affiancata sulle facciate dei municipi a quelle di Croazia, Unione europea e della provincia dell’Istria.
Ma si tratta appunto di bilinguismo di facciata, introdotto da alcuni anni proprio per evitare guai in vista dell’ingresso in Europa. La tutela delle minoranze è uno dei requisiti richiesti da Bruxelles ai nuovi Stati membri.Così in molti Comuni istriani ora l’italiano viene insegnato anche a scuola ed è facile, nelle località turistiche, imbattersi in camerieri, baristi e negozianti che parlano la nostra lingua con diverse gradazioni: dalle dieci frase indispensabili per condurre una trattativa commerciale auna conoscenza quasi perfetta dell’idioma di Dante. Al quale, per inciso, è dedicata una bella piazza di Pola.
Tuttavia, grattando appena la lucida patina di superficie, è possibile percepire tracce di un’antica ostilità anti-italiana. Dal cameriere che ostentatamente ti dice di non parlare la nostra lingua, all’operatore del parcheggio che risponde in inglese anche alle domande più facili, alla panettiera che finge di non capire e si rifiuta di tagliare in due un trancio di pizza, alle edicole che non tengono copie de La Voce, il quotidiano della minoranza italiana stampato a Pola e Fiume. «Sold out», esaurito, ti dice in inglese l’edicolante del corso principale del capoluogo istriano: il sospetto è che non lo voglia nemmeno tenere. Del resto anche in tempi recenti il giornale ha ricevuto minacce e intimidazioni, così come la sede della Comunità degli italiani di Pola, più volte oggetto di vandalismi; mentre a Parenzo (Poreč) e Rovigno sono stati date alle fiamme le bandiere tricolori.
Girovagando per Pola, tra l’Arena romana, il tempio di Augusto e le le strette vie del centro storico, è facile imbattersi in lapidi bilingui che ricordano, in italiano e croato, i partigiani uccisi dalle truppe “nazifasciste”, le redazioni dei giornali filo-titini, la rivolta degli operai comunisti dei cantieri navali polesi. Non una parola, però, sulle decine di migliaia di italiani costretti a lasciare la città nel 1946 a causa delle violenze dei partigiani jugoslavi, tutte vittime – così come migliaia di altre famiglie italiane di Fiume e della Dalmazia – di uno dei più gravi casi di “pulizia etnica” in Europa. Senza contare quelli finiti nelle foibe, sfuggiti alle liste degli esuli imbarcati sul piroscafo “Toscana”.
Su quella nave, insieme a migliaia di persone che abbandonavano tutto e che non sarebbero mai stati risarcite, c’era anche uno dei figli più illustri di Pola, il cantautore Sergio Endrigo. Al quale oggi è intitolato un bel giardino nel centro della città, per ironia del destino non distante da quello dedicato al carnefice delle genti italiane, il maresciallo Tito.
Al viaggiatore sprovveduto l’Istria croata propone una visione fittizia e deformata della storia, che poi è quella che per oltre cinquant’anni ha regnato incontrastata anche in Italia. Il che, a ben vedere, è pure peggio. Così può capitare, passeggiando nei pressi della cattedrale di Pola, di imbattersi in un piccolo giardino nel quale si incontra una targa piuttosto enigmatica: «Vergarola 18.08.1946 13 h.». Per scoprire l’arcano è sufficiente una ricerca su internet e si viene a sapere che la lapide, posta solo nel 1997 dopo molte insistenze da parte della comunità italiana e altrettante resistenze da parte della maggioranza croata, anche se non lo dice esplicitamente commemora le ottanta vittime della strage di Vergarola, avvenuta il 18 agosto del 1946 su una spiaggia di Pola.
In una città posta sotto l’amministrazione militare angloamericana, nella quale gli italiani erano ancora in schiacciante maggioranza, quel giorno era in corso la tradizionale gara natatoria organizzata dalla società canottieri Pietas Julia, che il quotidiano locale L’Arena di Pola definiva come una sorta di manifestazione di italianità. All’improvviso ventotto mine antisbarco accatastate ai bordi dell’arenile esplosero, provocando il crollo dell’edificio della società canottieri e la morte di decine e decine di persone. L’inchiesta delle autorità britanniche non individuò i responsabili, ma stabilì che i residuati bellici non avrebbero mai potuto esplodere da soli.
Il messaggio alla comunità italiana arrivò forte e chiaro: l’esilio o la morte. E a quel punto più dell’80 per cento dei polesani di origine italiana scelse di abbandonare la propria città. Sul piroscafo “Toscana” c’era anche l’adolescente Sergio Endrigo, che molti anni dopo dedicherà all’esodo forzato degli italiani d’Istria una popolare canzone, in apparenza rivolta al pubblico dei bambini: L’arca di Noè, che giunse terza al Festival di Sanremo del 1970. «Partirà la nave, partirà. Dove arriverà, questo non si sa. Sarà come l’arca di Noè, il cane, il gatto, io e te». Ad ascoltare bene il testo, tuttavia, la disperazione dell’esilio emerge in tutta la sua drammaticità.
Storie lontane, che forse interessano pochi. Anche se di recente la stampa croata ha bollato come «provocazione irredentista» la presenza dei rappresentanti del “Comune di Pola in Esilio” alla celebrazione delle vittime di Vergarola. Il futuro è nell’Europa, nel crescente turismo sulle coste croate, negli scambi commerciali. E quel che resta della comunità italiana dell’Istria sembra tutt’altro che attratta dalle tentazioni revansciste che invece, bisogna ammetterlo, ancora animano le associazioni dei profughi in Italia. Anche perché i non molti italiani che nel 1946-47 scelsero di restare lo fecero per ignavia o convinzione politica nel comunismo jugoslavo, e in entrambi i casi furono indotti a tagliare le proprie radici e a subire un intenso processo di slavizzazione.
Difficile pensare che a sessantacinque anni di distanza, oltretutto in Paese democratico benché fortemente nazionalista, riemerga oggi una forte coscienza italiana. A Pola solo il 5 per cento si dichiara di madrelingua italiana, a fronte dell’88 per cento di croati. E nell’intera Istria la comunità italiana non supera il 10 per cento della popolazione totale. Rispetto ai tempi della Jugoslavia di Tito sono stati fatti molti passi avanti: esiste un formale bilinguismo, in molti paesi della costa l’italiano viene insegnato a scuola, l’associazionismo ha ripreso a funzionare e un Comune importante come Rovigno, fulcro del turismo istriano, ha un sindaco di origine italiana, Giovanni Sponza.
Però non c’è da farsi illusioni: a dispetto di quanto cantava anni fa La Compagnia dell’Anello, nell’Istria del 2013 “solo” le pietre sembrano ancora parlare italiano.

domenica 29 dicembre 2013

Massacro di Wounded knee, 29/12/1890


Riportiamo di seguito un breve passo riferito al massacro di “Wounded Knee” (nel quale persero la vita 144 indiani , di cui 44 donne e 16 bambini) nel ricordo di una popolazione sterminata brutalmente dall’esercito statunitense. Una falcidiazione di cui si parla troppo poco…

da aurhelio.it

Chankpe Opi, nella lingua dei Sioux Oglala, vuol dire “ginocchio ferito”. “Wounded Knee”, nella lingua degli invasori. E’ il nome di un torrente del South Dakota.
E’ il 29 dicembre 1890. In una piana coperta di neve, poche miglia a ovest del torrente, l’esercito degli Stati Uniti uccide a colpi di cannone centocinquanta Sioux, quasi tutti disarmati, in gran parte donne e bambini. I soldati se ne vanno, i cadaveri rimangono a cielo aperto, i feriti che riescono ad allontanarsi muoiono assiderati.
Gli ufficiali responsabili della strage sono ricompensati con venti medaglie al valore militare. Lo scrittore L. Frank Baum, autore de Il Mago di Oz, applaude al massacro e scrive: “La nostra sicurezza dipende dallo sterminio totale degli indiani. Dobbiamo cancellare dalla faccia della terra queste creature non addomesticate né addomesticabili”.
Quel giorno del 1890 i Sioux furono uccisi perché danzavano. Ballavano la “danza degli spiriti”, ghost dance, un rituale sacro diffuso in tutto il West dal profeta Wovoka, della tribù dei Paiute.  Due anni prima, durante un’eclisse di sole, Wovoka aveva avuto una visione. Il Grande Spirito gli aveva mostrato una terra di sogno, ricca di vegetazione e piena di selvaggina. Wovoka aveva incontrato i suoi antenati, parlato con loro, giocato e scherzato insieme a loro. Il Grande Spirito gli aveva detto: “Torna dal tuo popolo e raccontagli quello che hai visto. Danzate tutti insieme, danzate, predicate la pace e l’armonia. Questa terra è per voi e per i bianchi, ditelo anche a loro.”  La danza era un rituale non-violento, danzando si accettava l’invito in quel nuovo mondo di concordia e prosperità. Solo che, passando da una tribù all’altra, laghost dance si era trasformata. Per i Sioux, il compiersi della profezia comprendeva l’allontanamento degli invasori. La danza avrebbe reso gli indumenti invulnerabili, a prova di proiettile. Vista l’inutilità delle loro armi, i bianchi avrebbero rinunciato a ogni pretesa e sarebbero tornati nell’Est. Speranza e protesta, superstizione e delirio mistico: tutto quanto era rimasto a un popolo ridotto alla fame, costretto a rinunciare al nomadismo e alla caccia.
I bianchi avevano sterminato i bisonti, li avevano uccisi tutti, per le pellicce o per il semplice gusto di farlo, in un’insensata carneficina “sportiva”. Le carcasse erano lasciate a decomporsi nella prateria, migliaia di tonnellate di carne, uno spreco mai visto prima, incomprensibile agli indiani. La fine di un’antica economia di sussistenza. Si calcola che in pochi anni furono uccisi quasi quattro milioni di bisonti.  Nel frattempo, recinzioni e concessioni minerarie avevano – letteralmente – tolto l’erba da sotto i piedi degli indiani. Cavallo Pazzo era morto nel ’77, l’epoca delle rivolte e della resistenza armata volgeva al termine e il governo segregava le tribù nelle riserve, definitivamente. Toro Seduto era stato ucciso appena due settimane prima, insieme al figlio Zampa di Corvo. Restava solo la ghost dance
I danzatori si muovevano in cerchio, saltavano, cantavano, urlavano, toccavano vette di estasi e perdita della coscienza. I bianchi non capivano quelle movenze, ne erano terrorizzati, orripilati. Credevano fosse una danza di guerra. Paranoia e malafede facevano interpretare ogni gesto come messaggio in codice, segnale di rivolta, istigazione ad attaccare. I bianchi si aspettavano di vedere spuntare, da un momento all’altro, armi nascoste chissà dove. Fermatevi, smettetela, mi fate girare la testa, mi fate paura, fermatevi, non vi capisco, fermatevi o dò l’ordine di sparare!
Tra il 28 e il 29 dicembre 1890 il 7° Cavalleria, agli ordini del colonnello George A. Forsyth, intercettò e radunò più di trecento Sioux guidati da capo Grande Piede. Gli indiani sospettavano che Forsyth volesse caricarli su un treno e deportarli a Omaha, Nebraska, quasi seicento chilometri più a est. Come se l’esercito italiano decidesse, da un giorno all’altro, che dieci-quindici famiglie di Siena vanno spostate a Crotone, subito, è un ordine, salite sull’interregionale senza fare storie.  In realtà pare che Forsyth, dopo avere radunato e disarmato i Sioux, non sapesse bene che fare. Secondo altri osservatori, invece, c’era fin da subito l’intento di compiere una strage, o almeno la propensione a compierla: tredici anni prima, a Little Big Horn, Cavallo Pazzo e Toro Seduto avevano sconfitto e umiliato proprio il 7° Cavalleria, allora comandato da un altro “George A.”, il tenente colonnello Custer. Forse c’era voglia di chiudere i conti.  “Chiudere i conti”? Vendicare una sconfitta limpida, subita sul campo di battaglia, con un massacro vigliacco di civili inermi? Sì, certo, perché Little Big Horn non era considerata una sconfitta, ma un oltraggio alla civiltà. Come cantava Johnny Cash: “Non la chiamano vittoria indiana / ma sanguinoso massacro / Forse ci sarebbe stato più entusiasmo / se noi indiani avessimo perso.” (“Custer”, dall’album Bitter Tears, 1964).
Accadde tutto molto in fretta. I Sioux erano stanchi, infreddoliti e nervosi, fermi e tenuti sotto tiro da tante, troppe ore.
Qualcuno di loro cominciò a danzare. Altri seguirono l’esempio. 
I bianchi si agitarono. L’ordine di smettere di danzare rimase inascoltato. Forsyth fece puntare contro la piccola folla quattro cannoni Hotchkiss.
Al margine della scena un ragazzo, Coyote Nero, teneva in mano il fucile che era riuscito a nascondere il giorno prima. Un soldato cercò di strapparglielo di mano. Scoppiò un tafferuglio.  Proprio in quel momento lo sciamano Uccello Giallo, che guidava la danza, gettò in aria una manciata di polvere. Era parte del rituale, ma ai soldati sembrò un ordine di attacco.  I cannoni fecero fuoco. 
Dissolvenza.
fonte: http://www.wumingfoundation.com/italiano/outtakes/ghostdance.htm

sabato 21 dicembre 2013

Rinnova te stesso.


Rinnova te stesso,
sul lavoro
negli studi
in amore
con gli altri.

SIATE ESEMPIO.

Con ogni Sole,
RINNOVATEVI.

Dormitorio per senzatetto e luogo di bivacchi, il Parco di Colle Oppio divorato dal degrado

da: lungotevere.org
Roma, 21 dic 2013 – Appena dieci giorni fauna fiaccolata dei residenti ne aveva denunciato le gravi condizioni di degrado. Oggi al Parco di Colle Oppio poco è cambiato: nessun pronunciamento è arrivato dall’amministrazione e le misure a tutela della pubblica fruizione dell’area verde sono ancora insufficienti.
Per questo, i cittadini sono tornati a ‘manifestare’ questa mattina nei giardini di Colle Oppio, “armati” di scope, rastrelli e secchi a volontà per “fare il primo passo”: cioè pulire il parco, anche con la collaborazione di Ama. “E’ una manifestazione spontanea di chi vive questo parco ed è esausta del degrado che è sotto gli occhi di tutti “, ha commentato Silvia Iorio, residente in zona.
Ad appoggiare l’iniziativa, promossa da comitati e associazioni del Rione Monti, anche il gruppo Fratelli d’Italia del I Municipio con il consigliere municipale, Stefano Tozzi.“Oggi è la seconda giornata di protesta, come anticipato nella fiaccolata dell’11 dicembre, per proseguire nella sensibilizzazione dell’opinione pubblica riguardo lo stato in cui versa questo parco – ha dichiarato il consigliere - cerchiamo di ripristinarne il decoro, raccogliendo secchi di rifiuti, in attesa che venga risolto il problema dell’affidamento alla cooperativa che fino a questa estate ha ben gestito il parco”.

La situazione nell’area verde di Colle Oppio è infatti degenerata proprio lo scorso luglio, quando il contratto della cooperativa affidataria è scaduto, senza poi essere rinnovato.
Risultato? Le foto parlano da sé. Fontane storiche adibite a dormitori, con cartoni e coperte lasciati da chi la sera tonerà ad utilizzare lo stesso giaciglio di fortuna. Acque torbide, insozzate dai resti delle cene e dai vetri di bottiglia accumulati di giorno in giorno. Altrettanto nelle aree giochi, dove le mamme portano ancora i figli, tra vetri rotti, lamette e rifiuti di ogni genere.
Di manutenzione ordinaria quindi non se ne parla, ma anche la sicurezza lascia a desiderare. Perché il parco, non più gestito dalla cooperativa, non viene neanche regolarmente chiuso. “Riqualificare l’area è ora la priorità, - ha aggiunto Tozzi –restaurando le fontane storiche, i cigli e i giardini, ma attendiamo anche una presa di posizione da parte dell’amministrazione - che ancora non c’è stata - in merito ai rifugiati politici che vivono nel parco”.
Isabella Foderà

venerdì 20 dicembre 2013

Domani pulizia del Parco!


Dopo la splendida e riuscitissima fiaccolata svolta dieci giorni fa proprio all'interno del Parco di Colle Oppio, scendiamo di nuovo in strada armati di scope, palette e secchi, 
diamo un'ulteriore risposta concreta ai problemi del nostro Rione!
Se le istituzioni continuano a latitare, saremo noi cittadini a rimboccarci le maniche  per risolvere i problemi di degrado e pulizia all'interno del Parco! 
Per tutti quelli che non vogliono stare a guardare ed aspettare che le cose cambino da sole, ci vediamo domattina dalle ore 10 al Bar "Da Nunzia" all'interno del Parco.

domenica 15 dicembre 2013

Concerto per Carlo 2013 • Serata Comunitaria


Omaggio della musica alternativa a Carlo Venturino e agli Amici del Vento
14 gruppi, 30 canzoni per 30 anni di militanza 
Ci ritroveremo Lunedì sera tutti insieme ad assistere a questo evento speciale
con quel senso di Comunità che la musica alternativa ci trasmette.

sabato 14 dicembre 2013

Fiaccolata contro il degrado del Parco di Colle Oppio


da ilmessaggero.it

Fiaccole contro «il degrado del Parco di Colle Oppio». È l'iniziativa che si è svolta questa sera nella zona del parco, dopo il reportage-denuncia del Messaggero. Al corteo hanno preso parte, oltre ad abitanti della zona, anche Federico Mollicone, dirigente nazionale di Fratelli d'Italia. «Vi hanno partecipato centinaia di residenti - riferisce -, contro il degrado e l'insicurezza del parco». In una locandina di annuncio dell'evento, sottoscritta da diverse associazioni e comitati si legge: «Il problema del Parco di Colle Oppio è anche la sua generale riqualificazione. Quali progetti sono previsti?».


In una nota congiunta con il vice capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera Fabio Rampelli, Mollicone scrive: «Da mesi il parco di Colle Oppio a Roma vive una situazione di degrado senza precedenti: una tendopoli a cielo aperto nel quale più di 100 immigrati bivaccano all'interno di un'area di alto pregio architettonico e paesaggistico. Uno scempio a due passi dal Colosseo e nella totale indifferenza del ministro dell'Integrazione Kyenge e del sindaco di Roma Marino, che oltre a solidarizzare fintamente, lasciano circa 80 richiedenti asilo politico, quasi tutti di origine africana, in un'area archeologica e nemmeno espellono i clandestini. Kyenge e Marino non hanno alzato un dito per trasferire in adeguati centri d'accoglienza queste persone, molte delle quali accampate in rifugi di fortuna e in condizioni di estrema precarietà soprattutto in questi giorni di grande freddo. Tale stato di abbandono del parco provoca non solo problemi di igiene e di sicurezza, ma anche di tensione sociale visto che alcuni immigrati godono peraltro dello status di rifugiati politici».

«Oltre ad esprimere vicinanza e solidarietà ai residenti annunciamo la partecipazione alla fiaccolata di questa sera contro il degrado - concludono -. Fratelli d'Italia presenterà un'interrogazione parlamentare al ministro dell'Interno Alfano e al ministro dell'Integrazione Kyenge per chiedere il ripristino della legalità all'interno dell'area, l'espulsione dei clandestini e il trasferimento degli immigrati in centri di accoglienza».

da ilquotidianodellazio.it

Cento fiaccole contro il degrado: è questa l'iniziativa promossa dai residenti e comitati di quartiere che hanno sfilato oggi. La lunga serpentina ha compostamente percorso Viale del Monte Oppio per protestare contro lo stato d'abbandono in cui versa uno dei parchi storici più belli e centrali di Roma

La protesta si è conclusa con un comizio in cui tutte le realtà hanno preso la parola e descritto le criticità cui odiernamente i residenti sono esposti. Gli iscritti del centro anziani, le mamme e i frequentatori dell'area verde hanno focalizzato i loro interventi su igiene e sicurezza.
"Le fontanelle emanano odore di urina e a terra è pieno di siringhe": così afferma una mamma che ha protestato insieme al proprio figlio "nonostante il freddo, perchè la situazione è progressivamente diventata insostenibile e va denunciata".
"Peggio del terzo mondo", sostiene invece un atleta che tutte le mattine è costretto a fare lo slalom tra rifiuti e avanzi di pic nic sparpagliati ovunque.
"Bisogna riqualificare il parco, l'unica discarica a cielo aperto che ospita le meraviglie più belle del mondo", afferma un altro.

Per fortuna sul tema c'è un'interrogazione parlamentare, come comunica Federico Mollicone di Fratelli d'Italia, e in particolare sulla questione immigrazione e sulla maxi-tendopoli abusiva presente all'interno del parco.
Ancora da Fratelli d'Italia si solleva la voce del consigliere del I Municipio Stefano Tozzi, che fa riferimento al grosso investimento sostenuto dalla nuova amministrazione di Roma Capitale per valorizzare i beni monumentali e i Fori Imperiali: "A 100 metri dalle attenzioni del Sindaco - sostiene Tozzi - c'è il parco storico di Colle Oppio con le sue fontane monumentali, i ruderi romani e la stupenda Domus Aurea". "Eppure - prosegue il consigliere di Fratelli d'Italia - quest'area di indiscutibile pregio archeologico è stata inspiegabilmente esclusa dal piano di valorizzazione cittadina".

In attesa di ottenere risposte, i cittadini mantengono accesa la loro fiaccola, facendo luce sulle realtà dimenticate di Roma.