giovedì 28 dicembre 2017

Nuovi italiani: 400 mila in due anni. Lo Ius Soli non serve


da http://blog.ilgiornale.it / di Giampaolo Rossi

UN BOOM DI CITTADINANZE
Solo nel biennio 2015-2016 gli stranieri che hanno ottenuto la cittadinanza italiana sono stati quasi 400 mila; per la precisione 178.000 nel 2015 e 202.000 nel 2016.
È quanto risulta sommando i dati del Bilancio Demografico Nazionale pubblicato annualmente dall’Istat.

Nel 2015, i 178 mila nuovi italiani hanno rappresentato un +37% rispetto al 2014; mentre i 200 mila nuovi italiani del 2016, un +13% rispetto al 2015.
Nel conteggio sono comprese le acquisizioni di cittadinanza “per matrimonio, naturalizzazione, trasmissione automatica al minore convivente da parte del genitore straniero divenuto cittadino italiano, per elezione da parte dei 18enni nati in Italia e regolarmente residenti ininterrottamente dalla nascita, per ius sanguinis”.

Negli ultimi due anni, il numero di cittadini stranieri residenti nel nostro paese è rimasto più o meno invariato: poco più di 5 milioni. Quindi quei “400 mila nuovi italiani” stanno a significare che nel biennio 2015-2016, quasi l’8% degli stranieri presenti nel nostro Paese sono stati naturalizzati: una percentuale altissima mai raggiunta prima.
Percentuale che è ancora più alta se si considera che coloro che oggi hanno ricevuto la cittadinanza italiana, sono coloro che risiedono nel nostro Paese da almeno 10 anni e sono entrati quando la popolazione straniera era intorno ai 3 milioni.
I paesi di origine dei nuovi italiani del 2016 rimangono prevalentemente quelli di più antico insediamento: Albania (18% di quanti hanno acquisito la cittadinanza), Marocco (17%), Romania (6%). Aumentano gli italiani di origine indiana (5%) e pakistana (4%).

QUANTI STRANIERI IN ITALIA?
Tolti gli stranieri divenuti “cittadini italiani”, quanti sono gli stranieri residenti in Italia? Nel 2016 secondo l’Istat, oltre 5.000.000, pari all’8,3% del totale dei residenti (poco più di 60,5 milioni) ; di questi il 50% dall’Europa (prevalentemente centro-orientale), il 21% dall’Africa, il 20% dall’Asia e circa il 7% dall’America centro-meridionale; esiguo il numero dall’Oceania.
Le popolazioni più presenti in Italia sono rumeni (1,2 milioni), albanesi (450 mila), marocchini (420 mila), cinesi (quasi 300 mila), ucraini (200 mila), filippini (160 mila), indiani (150 mila).
In termini di percentuale crescono notevolmente alcune nazionalità africane (Gambia +72% e Mali +42%) ma con numeri assoluti ancora irrisori, e afghani (+31%) la cui presenza è legata a motivi umanitari.
In tutto in Italia risiedono circa 200 nazionalità a “confermare il quadro multietnico del nostro Paese”.
Con buona pace della Boldrini, della Kyenge, di Saviano e dei raccontafrottole della sinistra multiculturale, l’immagine dell’Italia come un Paese chiuso agli immigrati e ostile ai processi di integrazione è falsa e priva di fondamento; è un’immagine costruita dai media e propagandata da chi vive e pontifica dagli attici di Manhattan o dai salottini radical-chic.
400 mila nuovi cittadini italiani in due anni sono la dimostrazione che lo Ius Soli non serve, non è necessario per il riconoscimento di un diritto allo straniero che, se meritato, si può avere anche con l’attuale legislazione.

SEMPRE MENO ITALIANI
Semmai il vero problema del nostro paese è il calo della popolazione italiana che continua anche nel 2016; problema di cui, ai campioni dell’immigrazionismo compulsivo e dell’accoglienza ideologica, non frega nulla.
Nell’ultimo anno in Italia abbiamo avuto quasi 142 mila italiani in meno, decremento prodotto dalla negatività del “saldo demografico naturale”: per la precisione, 473.438 nascite (per il secondo anno sotto il mezzo milione) contro 615.261 decessi. Bolzano è l’unica provincia italiana dove nascono più italiani di quanti ne muoiano.
Il calo del 2016 sarebbe stato ancora più cospicuo se non fosse stato mitigato appunto dalla concessione della cittadinanza italiana a 200 mila stranieri (altri 140 mila italiani in meno si sono avuti nel 2015).

UN DATO CHE NASCONDONO
Un altro dato merita di essere preso in considerazione: secondo l’Istat nel 2016, 115 mila italiani hanno lasciato il nostro Paese; di questi circa 40 mila sono “cittadini di origine straniera che emigrano in un Paese terzo o fanno rientro nel Paese d’origine dopo aver trascorso un periodo in Italia ed aver acquisito la cittadinanza italiana”. Il fenomeno è riscontrato anche nel 2015.
Questo significa che abbiamo concesso la cittadinanza italiana a persone che hanno poi lasciato il nostro Paese dopo aver “sperimentato un brevissimo periodo di residenza al solo fine di acquisire la cittadinanza”; lo scrive l’Istat. Sono persone, quindi, che hanno deciso di non appartenere alla storia del nostro Paese (per ragioni anche legittime), ma alle quali noi abbiamo concesso un diritto di cittadinanza a cui non corrisponderà alcun dovere, visto che sono tornate al loro paese d’origine o emigrate in paesi terzi (dove magari hanno altri legami famigliari o culturali).
Questo fenomeno ovviamente aumenterà con lo Ius Soli, quando, per dirla con il genio di Saviano, riconosceremo “il diritto di chi nasce in Italia a essere italiano indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori”. Allora quanti saranno i bambini diventati italiani senza che lo siano i loro papà o le loro mamme che dovranno abbandonare il nostro Pese e tornare a vivere nelle terre di origine dei loro genitori quando essi rientreranno? Che tipo di cittadinanza consapevole è questa?

LO IUS SOLI NON SERVE
Per Saviano e per gli intellettuali di sinistra che hanno recentemente firmato il solito appello logorroico, quella sullo Ius Soli è tra tutte, “la legge più urgente”, nonostante l’Istat ammetta, con l’attuale legislazione, “il notevole aumento dei riconoscimenti di nuovi cittadini italiani”.
La sinistra devota a Soros e al progetto mondialista, non ritiene prioritari il lavoro, la crescita economica, la tutela dei nuovi poveri italiani sempre più poveri e sempre più numerosi; no, pensa che l’urgenza del Paese sia scardinare, in prospettiva, l’equilibrio demografico della nazione, imponendo una legge assente nella stragrande maggioranza dei paesi europei e nel pieno del caos immigrazione che qualcuno aveva previsto da decenni e che, leader e intellettuali di sinistra infarciti di stupida ideologia multiculturale, hanno mostrato di non saper prevedere, né governare.
Nella sua relazione, l’Istat richiama il collegamento diretto tra l’attuale crisi economica e il calo delle nascite in Italia. E invece di sollecitare “legislazioni di emergenza” per tutelare la maternità, favorire le giovani coppie, garantire accesso al credito per gli italiani che non ce la fanno, loro pensano di inventarsi nuovi italiani per legge.

In Italia non c’è bisogno di Ius Soli, i numeri lo dimostrano. I diritti dei cittadini stranieri e di quelli che vogliono diventare “nuovi italiani” sono già tutelati. È ora di iniziare a tutelare i diritti degli italiani che italiani lo sono da sempre.

mercoledì 27 dicembre 2017

I razzisti dello ius soli: "Fascista chi è contrario"


da ilgiornale.it / di Fausto Biloslavo

Un tweet di Unicef Italia che bolla come «idiota» e «fascista» chi è contro la legge sullo ius soli. E la caccia alle streghe che sta nascendo in rete sui senatori assenti, che hanno affondato la norma sulla cittadinanza in questa legislatura. 

Un circuito collegato ai firmatari della lettera aperta al capo dello Stato per rimandare lo scioglimento delle Camere, che dimostra tutto l'estremismo di chi si pone come paladino buonista contro razzismo e xenofobia.
La vigilia di Natale sul sito ufficiale di Unicef Italia appare un tweet, che assomiglia di più a quello di una fazione che all'agenzia dell'Onu in difesa dei bambini. In riposta a delle critiche pesanti contro lo ius soli gli umanitari rispondono: «Ah sei di quelli che usano nomi stranieri e bio in inglese ma non tollerano che ragazzini nati in Italia che parlano italiano siano considerati italiani» con aggiunti gli hashtag «idiot» e «fascist». In rete si scatena una valanga di polemiche. Il portavoce dell'agenzia dell'Onu è Andrea Iacomini, che faceva lo stesso lavoro ad un assessorato della seconda giunta capitolina del sindaco Walter Veltroni. Per 20 anni impegnato in politica era diventato segretario giovanile del Partito popolare. Candidato per l'Ulivo, in quota Margherita, nelle elezioni comunali di Roma del 2006 non è stato eletto per un soffio. Lo scorso anno non escludeva in un'intervista di rituffarsi in politica. Nel frattempo fa il portavoce di Unicef, sempre molto schierato pro ius soli, che dovrebbe avere anche la responsabilità delle uscite su twitter dell'agenzia dell'Onu.
Secondo Maurizio Gasparri, vicepresidente del Senato di Forza Italia, «Iacomini insulta il Parlamento perché non ha varato la legge sullo ius soli. Chieda scusa». Massimiliano Fedriga, capogruppo della Lega alla Camera, sottolinea: «Si dimetta. Siamo stanchi di subire la retorica antifascista da chi si comporta da fascista».

Dopo una giornata di polemiche Unicef ritwitta ammettendo in parte la gaffe: «Un troll ha usato l'epiteto idiota contro di noi fino a quando, vistoselo restituire (caduta di stile, lo ammettiamo) è corso dal giornalista amico. () #Stoppiagnisteo». Unicef e Iacomini, esperto blogger, sanno bene che si possono bloccare i troll e chi insulta sui social. E in ogni caso la mezza marcia indietro conferma che i critici dello ius soli sono «#fascist».
Stessa linea imbarazzante adottata nella lettera degli «Italiani senza cittadinanza» al presidente Sergio Mattarella per non sciogliere le Camere prima di avere approvato lo ius soli. «Talvolta le autorità di un Paese democratico sono chiamate dalla Storia a promuovere leggi che possono apparire divisive - scrivono - ma che in realtà sono necessarie a potenziare gli anticorpi e a creare argini contro la deriva di forze antidemocratiche e destabilizzanti. Non lasciateci soli ancora una volta». In pratica i rappresentanti degli italiani in Parlamento l'hanno affossata, ma la norma va approvata lo stesso perché i contrari rappresentano un pericolo antidemocratico e destabilizzante. Ovvero sono «fascisti» come scrive l'Unicef.

Curioso che una lista dal sapore della proscrizione sia finita sul gruppo Facebook «la rete G2-Seconde generazioni», attivisti pro ius soli collegati proprio agli «Italiani senza cittadinanza». Ieri Mohamed Abdallah Tailmoun si chiedeva in un post: «Ma si sanno i nomi dei senatori Pd e Mdp assenti in aula al Senato il 22 dicembre?», che hanno provocato l'affossamento della legge. Poco dopo Said Lahaine, profilo falso, pubblicava la lista «nera» dei 29 senatori Pd, 3 di Articolo 1 e Corradino Mineo del Gruppo misto. I più noti sono il ministro dell'Interno Marco Minniti, della Difesa Roberta Pinotti, ma pure Sergio Zavoli, Nicola Latorre e Felice Casson. E giù commenti da caccia alle streghe dei democratici buonisti dello ius soli: «Che schifo», «Lol» e «tutti a casa» e «ce ne sono altri?», riferendosi ai 5 stelle.

mercoledì 20 dicembre 2017

La politica da mediano di Fabio Rampelli (Fdi)


da opinione.it

È un mediano. Un interdittore. Fabio Rampelli si racconta a “L’Opinione” ripercorrendo il suo passato. Questo ritratto parte dai primi anni vissuti in politica. I ricordi delle scuole medie e poi del liceo sono ancora chiari e stampati nella sua mente. Erano gli anni Settanta e Roma era teatro di un duro scontro, anche fisico, tra comunisti e neofascisti. Lui ha sempre detto no alla violenza. E ora, in Fratelli d’Italia, si prepara ad affrontare senza rinnegare nulla la campagna elettorale per le elezioni politiche del 2018.

In che anno ha iniziato a fare politica? E dove?

Il mio primo approccio risale alla scuola media sperimentale “Petrocchi” nel quartiere Appio-Tuscolano di Roma. Proprio vicino al Liceo classico “Augusto”, territorio di confine tra il circolo del Fronte della Gioventù (di destra) e le sezioni politiche di sinistra. Un quartiere spaccato. Gli scontri tra i militanti della destra giovanile e gli attivisti del Partito comunista erano all’ordine del giorno. Noi della scuola media, nonostante la tenera età, dovevamo prendere parte, almeno come tifosi: scegliemmo il Fronte della Gioventù, almeno nella mia classe. Avevamo appena 13 anni e si trattava solo dei primi sintomi. Era il 1973. L’inizio vero e proprio dell’attività politica risale, però, agli anni del liceo. I miei genitori per evitare problemi e tutelare la mia incolumità, proprio per i confronti spesso violenti che si creavano nel quartiere, mi spedirono al Liceo scientifico “Righi”, un liceo che aveva la fama di essere “tranquillo”, ma gli anni Settanta non lo risparmiarono. Erano inconsapevoli che distasse appena 500 metri dal rosso “Tasso”. E fu così che, probabilmente per reazione a quella presenza, nel “Righi” iniziò a prendere forma una presenza di studenti di destra. La tensione si fece alta, il clima micidiale.

Come è cambiato, da allora, il modo di conquistare il consenso dei cittadini e di combattere le proprie battaglie politiche?

È cambiato in modo radicale. Fortunatamente si è potuto gettare alle spalle l’uso della forza. Per noi di destra era una continua violenza, sia morale che fisica, subita quotidianamente. Un incubo. Io ero terrorizzato ogni volta che uscivo di casa o che ci tornavo. Il passaggio decisivo la destra lo compì quando si mise in testa di rientrare all’Università “La Sapienza” dopo la “cacciata” del 1968, ma stavolta in modo definitivo dopo tanti approcci estemporanei e transitori. Decidemmo di non accettare più le provocazioni dei collettivi, di non rispondere mai agli agguati, rischiando spesso la nostra incolumità, un vero e proprio approccio gandhiano adottato dal nostro Movimento, “Fare Fronte per il Contropotere Studentesco”: rispondere alle aggressioni con la goliardia e l’ironia, cercando di ridicolizzare gli estremisti di sinistra. Loro continuavano con la violenza, ma pian piano iniziarono a isolarsi, perfino la sinistra “ortodossa” gli voltò le spalle e per noi fu un gioco da ragazzi. È così che ci siamo conquistati la possibilità di fare assemblee, gestire servizi per gli studenti, organizzare incontri culturali con i nostri intellettuali di area. Il tutto era orientato a tentare di rispondere allo scontro degli anni Settanta con la cultura dell’incontro, il confronto civile tra diverse sensibilità. Chiamavamo questa “rivoluzione” copernicana “Comunità studentesca” e lo strumento per costruirla “logica del superamento”.

Come ricorda l’esperienza di Alleanza Nazionale? Più i lati positivi o le occasioni mancate?

Alleanza Nazionale è stata una bellissima scommessa, ma persa. C’era l’idea affascinante di superare il neofascismo, di proiettare la destra verso il futuro, di renderla un movimento politico moderno ed europeo. Di farla tornare fuori dalle secche delle ideologie del Novecento. Questa la parte positiva che non mi sento affatto di rinnegare. Ma l’applicazione si è rivelata devastante. Si è iniziato a prendere le brutte abitudini della peggiore partitocrazia della Prima Repubblica: tatticismo, arroganza, uso spregiudicato del potere, correnti. È mancata la giusta chiave di lettura per mantenere alta la tensione ideale e morale, capace di rappresentarsi con una rettitudine esemplare nel governo della cosa pubblica. Poi non è possibile non parlare della decisione di Gianfranco Fini di entrare nel Pdl, mandando anni di lotte e di storia in malora. Noi eravamo presenti, ma ininfluenti, nessuno può rimproverarci quella scelta. E in ogni caso se la tensione morale e la capacità organizzativa della destra si fossero manifestate nel leader dell’epoca, anche il PdL poteva essere uno strumento idoneo... Ma c’erano altri interessi in gioco e tutto è finito con la casa di Montecarlo e i rapporti con il signor Corallo. Uno schifo.

C’è qualcosa che non rifarebbe?

Tutto quello che è accaduto prima di Alleanza Nazionale io lo rifarei. È stato un percorso lineare. Non ho mai accettato la logica dello scontro e quindi ho costruito, attraverso la comunità politica di cui sono espressione, il nostro presente. Ho avuto la forza di ribellarmi alle catastrofi di An e del Pdl. E con Giorgia Meloni abbiamo dato vita alla scommessa di Fratelli d’Italia.

Il Rampelli degli inizi è molto diverso dal Rampelli di oggi?

Nella carriera politica mi ci sono trovato per sbaglio. Avevo studiato, sono abilitato a svolgere la professione di architetto, che ho anche iniziato a praticare con soddisfazione, da disegnatore e poi da progettista, avevo altre prospettive. Ma nel 1993 esplose “Tangentopoli” e la destra ebbe l’immediato bisogno di candidare, al fianco di una classe dirigente che aveva dimostrato grande stoffa, tanta altra gente di diversa natura e provenienza. Ecco che prende forma, tra giovani che detestavano le istituzioni, credevano poco nella democrazia rappresentativa e avevano anche un pessimo rapporto con il Movimento sociale italiano, il desiderio di irrompere nei palazzi del potere per portarvi uno spirito nuovo. Vivemmo quella fase come fosse quasi un “assalto” alla cittadella del male. Bandimmo i “faccioni” sui manifesti in campagna elettorale e varammo la prima volta di una propaganda senza volti, tutti sintetizzati dal simbolo del gabbiano Jonathan Livingston, per un’esperienza quasi mitologica. Scegliemmo quell’immagine perché era quella con la quale per oltre dieci anni ricordammo Stefano Recchioni, militante di Colle Oppio ucciso nella Strage di Acca Larentia il 7 gennaio del 1978. Un po’ desideravamo portare i nostri ragazzi con noi, un po’ volevamo che ci proteggessero in quell’avventura “pericolosa”.

Come descriverebbe, finora, l’esperienza di Fratelli d’Italia?

La definirei un “capriccio” della politica italiana. Un impulso fondamentalmente irrazionale che si lega a una cultura politica millenaria. E che annoda insieme le tradizioni più profonde dei popoli, le identità e le culture che hanno permesso la costruzione della civiltà occidentale. Lo spirito solidaristico. Le capacità di mettere insieme tanti diversi per fare sintesi come ci insegnano gli antichi Romani. Mettere insieme questa roba in un partito non può essere che un capriccio. Poi i partiti, come diceva Robert Michels, nascono per rivoluzionare il mondo e affermare i propri principi, per poi ritrovarsi a esistere per preservare se stessi. È la storia dei partiti della Prima e della Seconda Repubblica. Fratelli d’Italia non ha ancora conosciuto questa fase e speriamo non la conosca mai.

Come vede la candidatura di Giorgia Meloni alla leadership del centrodestra?

Giorgia Meloni è uno dei leader del centrodestra. Quindi non si tratta di dare un giudizio dall’esterno. È nei fatti. Il suo indice di gradimento è elevatissimo. Probabilmente si tratta dell’unico leader del centrodestra capace di superare il proprio campo intercettando adesioni in tutti gli schieramenti. E penso che sia il perfetto punto di incontro di diversi elementi: proviene da un quartiere popolare, è stata la prima leader nazionale donna di un movimento giovanile, è preparata e ha profondità. Il fatto che abbia conservato la capacità di essere sempre autentica la fa molto apprezzare dalla gente, abituata a politicanti che non dicono mai la verità o che nascondono le proprie opinioni quando le ritengono scomode. È capace di essere mamma e militante: dolce e determinata. Ingredienti imprescindibili per una leadership.

Gira voce che a Roma il vero leader sia lei, è vero?

Penso di aver dimostrato quello che volevo realizzare con la mia militanza e non credo ci sia bisogno di appellativi. Non sono il leader di Roma, sono una persona che ha sempre combattuto con schiettezza e limpidezza per affermare i propri valori. Giorgia è romana come me e ha “numeri” davvero importanti e quindi, se ci dobbiamo attenere alla definizione scelta per questa domanda, la leader è lei, anche la leader romana. Io mi sento riferimento per un progetto di trasformazione della società e Giorgia Meloni è l’alfiere indiscusso di questo progetto.

Quanto spesso la Meloni viene da lei per un confronto? Magari per chiederle un consiglio…

Quando la politica è sana, tutti vanno da tutti. Ci si confronta sulle principali scelte, solo nei “partiti-azienda” o in quelli “ereditari” c’è uno solo al comando che come si sveglia la mattina prende decisioni e le propina ai sudditi. Giorgia viene da me molte meno volte di quanto io non vada da lei.

Lei è raramente sulle prime pagine dei giornali, eppure sembra che nella Capitale sia una potenza in quanto a potere decisionale su nomine e strategie…

Non sono una potenza, già l’ho detto. Questa suggestione rischia di inquinare il mio lavoro disinteressato per il “bene comune”. Magari potessi decidere delle nomine. Quando ho avuto questa opportunità ritengo di averla esercitata in modo assolutamente proficuo per la comunità. Purtroppo gli spazi sono sempre stati limitati perché sia Francesco Storace che Gianni Alemanno, dopo aver utilizzato le energie del mondo che gli portavo in dote, hanno cercato di uccidermi politicamente con tecniche bestiali e antidemocratiche. Ma capisco perfettamente che il modello di cui ero paladino facesse paura e che non fosse controllabile. Era efficace ma gli dava fastidio, perché era autonomo dal potere e si fondava sulla cultura del dono, su una trasparenza esemplare e sulla competenza. Oggi non ho il potere di nominare nessuno. Sto raramente sui giornali perché sono più un mediano di spinta. Non è che nella vita tutti possono fare i centravanti. Ognuno ha il suo ruolo e io sono soprattutto un uomo di fatica che porta la palla e cerca di valorizzare le persone della squadra. Sono anche una figura di contenimento rispetto agli avversari, sono bravo nell’interdizione. Ma, attenzione, sono un mediano che sa anche fare goal. Sui media un partito che nel 2013 aveva l’1.96 per cento non può mandare troppe persone…

Cosa non ha funzionato nel ballottaggio di Ostia?

Il sistema si è terrorizzato e ha messo in campo la più grande manovra per legare il grillismo all’elettorato di sinistra. Il clima assurdo ha radicalmente cambiato la campagna elettorale, tra il primo e il secondo turno, avvantaggiando platealmente la candidata del Movimento 5 Stelle, che comunque ha fatto perdere ai grillini il 17 per cento in un anno e mezzo. Nel primo turno, in una campagna quasi normale, le cose sono andate molto bene. Virginia Raggi è stata giudicata negativamente dal 70 per cento degli elettori che sono andati a votare, cui occorre aggiungere buona parte di coloro che sono rimasti a casa. La nostra candidata, Monica Picca, ha ottenuto un gigantesco risultato e, se i media non avessero “pompato” quotidianamente e positivamente Casa Pound, salvo poi criminalizzarla subito dopo, saremmo andati al secondo turno in vantaggio, cosa che sarebbe risultata clamorosa, in perfetto allineamento con la vittoria di Nello Musumeci in Sicilia. Occorre constatare che la vicenda del clan Spada e il clima avvelenato che si è materializzato, ci ha costretti a giocare in difesa. Ogni giorno ce ne era una… Perfino uno sconosciuto, poi risultato essere il fratello di Roberto Spada, che si è precipitato a scendere da casa per farsi immortalare al fianco di Giorgia Meloni. Insomma, la Raggi a Ostia è “andata una Spada”…

A Roma (e nel Lazio) FdI è l’elemento trainante delle coalizione. Merito dei vostri esponenti e della vostra tradizione o debolezza degli altri partiti di centrodestra?

Per noi è importante che il centrodestra, insieme, abbia la maggioranza. Il valore delle performance della coalizione è molto più importante del valore in sé di FdI. Non è una novità il nostro primeggiare, perché la destra nel Lazio e a Roma è sempre stata nel cuore dei cittadini per ragioni storiche. Un consenso che è risultato prioritario rispetto a quello di Forza Italia. La Lega non è significativa qui, paga lo scotto di campagne violentissime contro Roma ladrona e contro il Sud.

Quante possibilità ha Sergio Pirozzi di essere il candidato del centrodestra alle prossime elezioni regionali del Lazio?

Il 50 per cento. Quando ci sono persone efficaci che prendono l’iniziativa, si dice che il nemico da sconfiggere è solo dentro se stessi. Noi abbiamo espresso un giudizio positivo sulla persona. Probabilmente qualche attacco al centrodestra al suo posto me lo sarei risparmiato, ma c’è lo spazio per recuperare.

Che giudizio si è formato sull’ormai prossima tornata elettorale?

Solitamente non sono ottimista. Sono realista. Ma credo che, se non si raccontano favole e non si organizzano complotti, noi andremo a vincere le elezioni politiche largamente. Spero in un crollo del Movimento 5 Stelle perché oggi rappresenta il male assoluto di questo Paese.

Fratelli d’Italia è pronta a correre unita alle altre, variegate, anime del centrodestra?

Certamente sì. Se ogni tanto si ha l’impressione di opinioni diverse all’interno della coalizione è perché è normale che più partiti abbiano sensibilità diverse, altrimenti sarebbero un solo partito. Ed è legittimo che ognuno abbia una sua visione delle cose. Un accordo tra persone responsabili si trova sempre, se in ballo c’è il futuro dell’Italia.

Quante possibilità ha il centrodestra di ottenere alle prossime elezioni una maggioranza sufficiente per governare autonomamente?

Secondo me ce la possiamo fare. Le simulazioni che abbiamo prevedono che l’autosufficienza per esprimere un governo omogeneo si raggiunga conquistando sulla parte proporzionale un 40 per cento. Ora siamo intorno al 37 per cento. E il 70 per cento nei collegi uninominali, cifra apparentemente altissima ma in realtà vicina. Credo che il risultato sia alla portata e siamo smaniosi di misurarci con le criticità del nostro tempo, al servizio dell’Italia.

domenica 17 dicembre 2017

Il murales per Zicchieri torna al suo posto, la sorella: "Sono commossa"


da ilgiornale.it / di Elenz Barlozzari  

La scritta "sbianchettata" una settimana fa dagli operatori dell’Ama è tornata al suo posto. 
La sorella di Zicchieri è commossa. 

Sono le 19 passate da qualche minuto e il telefono di Barbara Zicchieri emette un suono. 

Le è appena arrivata una foto via WhatsApp: nero su bianco, sul muro di via Gattamelata, si legge “Mario Vive”. La scritta “sbianchettata” nemmeno una settimana fa dagli operatori dell’Ama è tornata al suo posto. Grazie a qualcuno che non si è firmato ma, evidentemente, ha molto a cuore il ricordo di suo fratello. Mario Zicchieri, alias “Cremino”, 17 anni ancora da compiere quando viene freddato a due passi dalla “sua” sezione, quella del Msi del Prenestino. Era un pomeriggio di fine ottobre di quarantadue anni fa. Da allora, sul luogo dell’omicidio, c’è scritto che Mario, per chi lo ama, non è mai morto.

Quando il decoro urbano ha passato un colpo di spugna su quella parete, per Barbara è stato uno choc. Aveva preso carta e penna, e aveva scritto una lettera aperta al sindaco di Roma Virginia Raggi. “Lei che ha la responsabilità di rappresentare Roma” dovrebbe “tener conto della storia”. Anche quella di Mario, “brutalmente assassinato dalle Brigate Rosse”. “Mio fratello – scrive Barbara – è una vittima di Stato” e “l’oltraggio di cancellarne la memoria, mi consenta, è un’offesa allo Stato”. Nessuna risposta.

La foto del “nuovo” murales di Mario rimbalza sui social già dalla prima mattinata di ieri, l’hanno pubblicata i ragazzi della sezione di Fratelli d’Italia di Colle Oppio (chiusa per ordine della stessa amministrazione che poi ha cancellato il ricordo di Zicchieri) e il deputato Fabio Rampelli l’ha rilanciata. A Barbara viene comunicato solo in serata, lo ha scoperto da pochi minuti quando ci risponde al telefono. È un fiume in piena. “Mi sono commossa, ho pianto ti giuro ho pianto, ero sicura che sarebbe stata ripristinata, non ne avevo avuto dubbi”, racconta. “In questo momento non riesco a dire di più, è un sentimento che va oltre le parole, è come se lì ci fosse ancora Mario, gli altri non possono capire, rivederla è stato come rivedere lui, senza non è la stessa cosa”.

Il primo pensiero è quello di avvisare la signora Maria Lidia, che oggi ha ottant’anni e ancora non si dà pace per quello che è successo a Mario. “Mia mamma – commenta – ancora non lo sa, appena glielo dico sarà felicissima”. Ed il secondo va a chi ha rifatto il murales: “Mi rendo conto che è stato un bel rischio, dirgli grazie è poco, ci hanno resi felici, può sembrare niente ma per noi è tanto”. Passata l’euforia, una domanda ricomincia a fare capolino, è sempre la stessa da giorni: “Perché – si chiede Barbara – proprio quella scritta? Sui muri c’è scritto di tutto e di più, io attendo ancora una risposta dalla Raggi, perché proprio la scritta di Mario?”. Alla famiglia Zicchieri, a Barbara, a Maria Lidia e agli altri parenti che da quasi mezzo secolo s’interrogano sulla verità di quel 29 ottobre di tanti anni fa, almeno questa risposta andrebbe data.

venerdì 15 dicembre 2017

Roma avrà una via dedicata a Lando Fiorini


In Campidoglio approvata la proposta di Fratelli d'Italia
per una via a Lando Fiorini al Giardino degli Aranci.
Roma non dimenticherà chi l'ha saputa raccontare come pochi! Ci piace ricordarlo così, con questa foto da giovane insieme all'indimenticabile Alberto Sordi, 2 icone di Romanità.
#fratelliditalia

COMUNE, DA CONSIGLIO OK A MOZIONE PER VIA INTITOLATA A LANDO FIORINI
(OMNIROMA)
Roma, 14 DIC

- Una via nei pressi della zona Aventino-Giardino degli Aranci sarà intitolata a Lando Fiorini, artista romano recentemente scomparso.
E' quanto prevede la mozione, presentata dal gruppo capitolino di Fratelli d'Italia, e approvata all'unanimità in assemblea capitolina questa mattina dopo l'apertura con un minuto di silenzio in memoria del cantante deceduto all'età di 79 anni.

giovedì 14 dicembre 2017

Il terremoto? Ormai non fa più notizia. C’è il fascismo da combattere…


da secoloditalia.it / di Sabrina Fantauzzi

Pericolo fascismo su tutti i media: tv, giornali, radio. Nel frattempo l’Italia centrale, già distrutta dal terremoto, deve provvedere a proteggersi dal freddo. Basta collegarsi su Facebook o cercare sulla rete i giornali locali per capire che cosa stia passando il popolo del cratere, quanta censura ci sia sui tg nazionali o sulla carta stampata. Insomma il terremoto non fa più notizia. 

C’è gente che mette la neve in padella per fare l’acqua calda e lavare i piatti. Famiglie che lasciano aperto nottetempo il rubinetto dell’acqua calda per evitare che le tubature gelino. 
C’è chi invece si dimentica di questo stratagemma e l’indomani sta senza acqua calda. 
Uno degli ultimi status, sulla bacheca Trijjy Pan (Rita di Grisciano, che insieme a Roberta Paoloni sono le pasionarie del cratere accumolese e amatriciano) informa: “Vento che fischia… tremore continuo rumori assurdi di lamiere…e ogni giorno rivivi gli incubi. 

Forse questo è un esperimento della Nasa per testare la sopportazione umana?”. 
Ma quale Nasa? Qui non funziona neppure l’elettrodomestico più amato del Paese, quello che negli anni ’50 costruì l’identità italiana post bellica, favorendo l’unificazione: la tv, la semplice tv. 
Sono due settimane che in alcune zone non si vede. Il segnale non arriva, così i vecchietti ora non hanno proprio più niente da fare… C’è chi, più giovane e vigoroso, è indaffarato con gli operai del Comune, perché si è scoperchiato il tetto, o i pannelli solari non funzionano e se non funzionano i pannelli solari non funziona l’acqua calda. 
Qualcuno combatte con la pozzanghera davanti casa che impedisce di uscire, altri con i listelli del parquet che si staccano. Tutti hanno una comune preoccupazione: la neve. 

La neve che sta arrivando. 
Il popolo del cratere vive, se è fortunato, in casette di 12cm di spessore. Da quelle parti il freddo può arrivare anche a meno 20. Le casette, nelle quali vivono questi italiani che hanno “avuto la sfortuna di sopravvivere sono costate allo Stato 6mila euro al metro quadrato. 
A una cifra simile a Roma  trovi appartamenti sulla Camilluccia o a Prati. Ma i media non ne parlano. Se queste casette (chiamate con un acronimo Sae, sistemazioni abitative di emergenza) le vai a comprare al Mercatone1, le trovi a 800 al metro quadrato. 

Certo, poi ci devi mettere gli arredamenti (che non sono proprio su misura, ma saranno dell’Ikea), mettici anche le opere di urbanizzazione…Insomma sembra difficile capire perché siano costate 6000euro al m2 e perché le amministrazioni siano ancora così in ritardo sulle consegne. 
Alcuni sindaci, di fronte al collasso strutturale, lamentano: “Noi lo avevamo detto che queste abitazioni potevano andare bene per il mare, ma non certo per zone di montagna”. 

Ci sono altri sindaci che hanno preferito prendere un intero quartiere Erp (edilizia residenziale pubblica) e consegnato chiavi in mano ai terremotati. Almeno stanno in una casa vera e propria. Non come quei poveri disgraziati di Accumoli, di Amatrice, e di Visso…dove ci sono ancora persone speranzose che vivono in roulotte. Ma di queste cose non parla nessuno. Dove stanno i grandi giornalisti d’inchiesta? Anzi, dove stanno i giornalisti… Sono impegnati in altro di più importante: il fascismo sta per tornare. 
Ma voi popolo del cratere che ne sapete? 
La tv non la vedete, i giornali non v’arrivano, internet neppure… Che ne sapete dell’aria da cittadella assediata dai fascisti che viviamo qui a Roma e nelle città del nord d’Italia. Gli antifascisti hanno fatto una manifestazione, a Como, chiamando a raccolta tutti i democratici d’Italia. Hanno sfilato tutti insieme, anche i ministri Graziano Delrio, Maurizio Martina, Roberta Pinotti, Andrea Orlando, Valeria Fedeli, Marianna Madia, la Camusso, segretario generale della Cgil e il sindaco di Bergamo Giorgio Gori, candidato alle regionali. C’era ovviamente Matteo Renzi. Tutti a cantare l’inno partigiano “Oh bella ciao”. Chissà se qualcuno di loro avrà mai partecipato a una manifestazione pro-terremotati. 

Che poi, chiediamoci perché le manifestazioni a sostegno del popolo del cratere e della ricostruzione debbano farle solo chi ha subito il terremoto, come se fosse solo “cosa nostra”. Ma anche qui, tutti tacciono. Qui si spera solo che arriverà il giorno in cui scoppierà lo scandalo, in cui uscirà fuori tutto: le ruberie, i ritardi, le inefficienze. 

E i giornalisti che diranno allora? Li sentiremo dire “non lo sapevamo, nessuno mi ha avvisato”… “Mi mancavano le fonti”… No, colleghi, oggi le cose si sanno, si vedono, la gente parla e documenta tutto sui social e tramite i social. Perché i social, questi montanari, li usano eccome… Molto meglio loro che i tg nazionali pagati coi soldi pubblici dove la storia è sempre quella, va tutto bene madama la marchesa… Ma loro stavano combattendo il fascismo.

mercoledì 13 dicembre 2017

Lettera alla Raggi: “Lei ha oltraggiato la memoria di mio fratello Mario Zicchieri”



da secoloditalia.it
 
È una vera e propria denuncia al sindaco di Roma, Virginia Raggi, responsabile di un’ennesima offesa alla città. Un’offesa inaccettabile: la rimozione a opera del murale dedicato a Mario Zicchieri, per tutti Cremino, il giovane missino appena sedicenne che fu freddato da un commando di brigatisti rossi il 29 otttobre 1975 a via Gattamelata nel popolare quartiere Prenestino a Roma. A firmarlo è la sorella di Mario, Barbara Zicchieri

“Lei oggi a Roma, grazie al voto dei cittadini Romani, ha il mandato di sindaco e la responsabilità di rappresentare la nostra amata Città Eterna.

La mia città, la nostra città è certamente molto complessa, e so bene la grande complessità che si deve affrontare per gestirla. Comprendo pure la Sua difficoltà nello svolgere il ruolo che ha, e spero che lei abbia compreso che questa città è il risultato di oltre 2.500 anni di sistemi, di eventi di personaggi, che l’hanno fatta crescere nel corso della sua gloriosa Storia.

Lei oggi, ne sono certa, nella gestione di questo sistema estremamente complesso deve tenere sempre e primariamente conto proprio della Storia! Anzi .. Non può non tenerne conto!

Ma così non sembra… Lei è nata a Roma, ma solo nel 1978!

Lei probabilmente a scuola ha studiato, certamente con impegno e solerzia, la Storia di Roma, ma credo che la storia recente (e per intenderci quella degli anni ’70 – ’80) forse le sfugge..!

Ma posso permettermi di rammentargliela. Nel 1975 (e lei ancora non era nata) un ragazzo di 16 anni, impegnato politicamente (il colore politico non conta) lottava per ottenere l’illuminazione pubblica nel suo quartiere (il Prenestino). E solo perché era un ragazzo di destra veniva brutalmente assassinato dalle Brigate Rosse. (sono certa che Lei ha sentito parlare delle BR, le stesse che nell’anno in cui Lei nasceva assassinavano l’onorevole Aldo Moro).

Il vuoto lasciato da quel ragazzo di 16 anni, nel cuore della sua Mamma, dei famigliari, è rimasto incolmabile, ed ancora oggi senza una verità.. E ugualmente incolmabile è, ancora oggi, quel vuoto, sebbene trascorsi 42 anni, nel cuore di chi come lui continua ad amare il proprio quartiere e che ha eletto, quella Vittima innocente (perché a 16 anni si è innocenti), quale simbolo con cui identificarsi nel proprio quartiere. E ciò a prescindere dal “credo politico”.

Il sacrificio di Mario Zicchieri (nella storia del suo Quartiere, nella sua Città di Roma, nella nostra Italia) non potrà mai essere dimenticato, semplicemente cancellando un murale. La memoria di quel ragazzo di 16 anni, continuerà a vivere nei cuori di chi l’ha conosciuto, e di chi ne conosce la Storia!

Mio fratello è stato una “Vittima di Stato”, ma questo forse Lei lo sapeva già. E l’oltraggio di cancellarne la memoria, mi consenta,  è un’offesa allo Stato, quello Stato cui Mario ha donato il sangue!

Barbara Zicchieri

lunedì 11 dicembre 2017

L'oltraggio al caduto missino: la Raggi fa cancellare il murales


da ilgiornale.it / di francesco boezi

Il murale per Mario Zicchieri non c'è più. "Cremino", così come era stato soprannominato, era un militante della sezione missina del Prenestino. 

Venne ucciso da un commando giudicato vicino alle Brigate Rosse il 29 ottobre del 1975, a soli sedici anni. Nella giornata di ieri, gli addetti dell'Ama per il decoro urbano della città di Roma Capitale hanno cancellato la scritta "Mario Vive" dalla facciata del palazzo che ospitava la storica sezione del Movimento Sociale Italiano. Un murale presente nel quartiere da un quarantennio che aveva resistito ai tanti tentativi di "sbianchettamento" operati da certa sinistra nel corso degli anni. Ma quale collegamento c'è tra la rimozione della scritta e l'operato di Virginia Raggi? Secondo i dirigenti di Fratelli d'Italia, la responsabilità è tutta del sindaco di Roma. Senza l' approvazione dell'amministrazione comunale - insomma - la cancellazione non sarebbe stata possibile.

Dopo lo "sfratto" dalla sezione di Colle Oppio, questo sarebbe un altro colpo inferto dalla Raggi alla destra romana. "Virginia Raggi, sprovveduta, ignorante o alla ricerca del voto dell’estrema sinistra? In ogni caso è penoso rimuovere il ricordo di un ragazzo ucciso, a 16 anni, dalle Brigate Rosse", ha scritto su facebook Fabio Rampelli, Capogruppo alla Camera di Fratelli d'Italia. Gli fa eco Maurizio Politi, consigliere comunale di Fdi a Roma che a Il Giornale.it ha dichiarato: "Nessun sindaco si era mai permesso di offendere in questo modo la memoria di un ragazzo. Cinque anni fa - sottolinea Politi - grazie all'approvazione all'unanimità del consiglio municipale, dedicammo a Mario anche il giardino su Piazza dei Condottieri". E ancora: "Riconsegnammo alla storia uno dei periodi più brutti della nostra città e mai ci saremmo aspettati che una forza politica come il M5S distruggesse questo percorso". Il partito guidato da Giorgia Meloni ha annunciato la presentazione di un'interrogazione scritta alla Raggi.

I colpevoli della morte di Mario Zicchieri sono rimasti impuniti. Alcuni brigatisti "indicati come coinvolti" nell'episodio sono stati assolti in appello. Il sindaco Raggi ha più volte espresso la propria soddisfazione per la riqualificazione dei quartieri romani tramite la street art. I giardini sul tetto della stazione Jonio sono stati arricchiti con murales sul film "Ladri di biciclette". E sempre il sindaco di Roma ha incontrato "Maupul", lo street artist che ha raffigurato Papa Francesco intento a giocare a tris sul muro di un palazzo a Borgo Pio. I murales - insomma - come forma artistica in grado di migliorare le zone di Roma. Tranne nel caso di Mario Zicchieri: in questa circostanza l'amministrazione grillina pare abbia preferito usare il bianchetto. La motivazione dell'intervento, forse, è ascrivibile alla presenza di una croce celtica posta di fianco al nome del caduto. La destra romana, intanto, sembra intenzionata a voler riprodurre la scritta.

venerdì 8 dicembre 2017

Destra. Roscani (GN): “Dopo Trieste lanciamo un appello generazionale”


da barbadillo.it

Al congresso di Fratelli d’Italia, svoltosi a Trieste il 2 e 3 dicembre, uno degli interventi conclusivi è stato quello di Fabio Roscani, presidente del movimento giovanile Gioventù Nazionale, che fa riferimento al partito meloniano.

Gioventù Nazionale, dopo il congresso di settembre, sembra esprimere un grande attivismo. Come sta andando il radicamento sul territorio?

È vero, Gioventù Nazionale, dopo il congresso nazionale svolto ad Atreju a Settembre, sta esprimendo un grande attivismo. È stato evidente a tutti il grande entusiasmo con il quale i ragazzi di Gioventù Nazionale stanno affrontando questa nuova fase e le sfide che ci attendono.  In soli due mesi abbiamo organizzato 4 eventi di grandissimo livello, da “Legio”in Campania, all’assemblea di Gioventù Nazionale di “Prima le Idee” in Puglia, fino ad “Empireo” a Casale Monferrato e ad “Arcadia” in provincia di Bologna. Eventi partecipatissimi con un livello di analisi e contributi politici molto importanti. Il radicamento sul territorio è evidente e lo abbiamo visto anche al Congresso Nazionale a Trieste, dove Gioventù Nazionale contava più di 350 delegati eletti in tutte le province, oltre ai membri di diritto. La strada è tracciata, il movimentismo giovanile a destra esiste ed è forte. Per numero di tesserati ci attestiamo come il primo movimento giovanile nella metà campo del centro destra.

Com’è il rapporto con il partito? Vi ponete in modo critico o costruttivo?

Il rapporto con Fratelli d’Italia è oggi molto costruttivo, Giorgia Meloni a Trieste ha fatto una relazione congressuale da sottoscrivere in ogni sua parola, efficace e coraggiosa anche su temi che sono molto a cuore ai ragazzi di Gioventù Nazionale, uno su tutti il tema della politica estera: fummo tra i primi a dire che la Russia doveva essere un partner fondamentale in particolar modo nella lotta al terrorismo islamico e che in Siria, tra Assad e l’ISIS con i suoi più o meno occulti sostenitori non c’è alcun dubbio, siamo con Assad!

Dopo il congresso di Trieste, cosa chiedete al partito?

Contribuiremo come Gioventù Nazionale alla costruzione del programma di governo di Fratelli d’Italia, stiamo lavorando alla stesura di un manifesto generazionale che parta dai temi della campagna nazionale “Ricostruiamo l’Italia”, lanciata all’Aquila ad inizio Ottobre. I giovani italiani che rappresentano la fetta maggiore della forbice dell’astensionismo tornano ad avere qualcuno che li rappresenti. D’altra parte dopo essere stati insultati dai diversi ministri negli ultimi anni con epiteti come “choosy“, “lavoratori sfigati”, “bamboccioni”, “finalmente fuori dai piedi”, li capisco se non sono andati a votare. Ecco da oggi hanno qualcuno che li considera la vera risorsa dell’Italia e non il problema, mentre Il Pd e Laura Boldrini, ma anche il Movimento 5 Stelle che su questi temi va a braccetto con la sinistra, hanno già scelto invece le loro “risorse”.

Il movimento giovanile è storicamente il luogo dove ci si forma una coscienza alternativa rispetto a quella dominante, per portarla successivamente nelle professioni e nelle istituzioni. Come sta lavorando GN in questo senso?

Dico sempre che la politica è missione e servizio quindi chi entra in Gioventù Nazionale non lo fa per fare carriera, ma con una libera scelta di adesione ad un sistema di valori e di una visione del mondo. Questi valori vanno trasmessi in qualsiasi ambito della vita, in famiglia, con gli amici, a scuola, all’università e nella propria professione. Alcuni di noi saranno poi chiamati a servire il proprio popolo nelle istituzioni e anche lì faremo la differenza. Già nelle scorse amministrative nelle liste di Fratelli d’Italia è stata eletta una pattuglia di oltre 50 ragazzi e ragazze di Gioventù Nazionale. Vedrete che faranno un ottimo lavoro. Gli Italiani si fidano e si sentono rappresentati più da un ragazzo che ha fatto militanza politica per anni, donandosi senza ricevere nulla dalla politica, rispetto a persone che improvvisamente scoprono una passione politica. In molti fanno comunque bene, ma il rischio che lo facciano solo per prendere una poltrona è notevolmente più alto.

GN come si pone verso le elezioni? Chiederete quote giovani e candidature?

Ho detto nel mio intervento a Trieste che Gioventù Nazionale continuerà a dare il suo contributo convintamente, senza essere strumentalizzata da nessuno, che la nostra generazione cammina con le proprie gambe e che abbiamo acceso una speranza vera di cambiamento. Gli italiani su chi dovrebbero riporre le proprie speranze se non nei propri figli? Non chiederò quote “giovani”, non mi hanno mai appassionato le quote “panda”, non siamo in via di estinzione, credo nel merito e sono convinto che i giovani più meritevoli conquisteranno i propri spazi senza aver bisogno di cooptazioni. Mi batterò per i meritevoli e i competenti affinché possano fare del loro meglio per l’Italia, non per le quote “panda”.

Quali sono ora i progetti a breve termine?

Continuerò a girare l’Italia, a fare chilometri per guardare negli occhi chiunque ha deciso di dedicare la sua vita ad un progetto visionario come il nostro. Tra 30 anni forse raccoglieremo i frutti delle nostre intuizioni e orgogliosi guarderemo l’Italia migliore di quella che abbiamo oggi. Continuerò a fare il militante di ogni federazione di Gioventù Nazionale, il rapporto diretto e costante con tutti nell’epoca della socialità virtuale è fondamentale, altrimenti c’è il rischio di perdersi. Mi faccio forza con il calore e l’entusiasmo di tutti, ed oggi che cresciamo sempre di più i nostri detrattori faranno di tutto per infangare il nostro cammino e ciò che siamo. Abbiamo lanciato un appello alla nostra generazione: non mollate mai! Interpretiamo il nostro tempo per donare un futuro all’Italia. Per dirla con De Cervantes: “I cani abbiano, vuol dire che stiamo avanzando”.

Consegnate le firme contro lo Ius Soli


Fratelli d'Italia ha raccoltoin poco tempo oltre 131mila firme per dire #NOIUSSOLI
la legge con cui la sinistra vuole rendere automatica la cittadinanza per gli immigrati. 
Ieri siamo andati davanti al Quirinale per consegnare le firme al Presidente della Repubblica Mattarella. La petizione può essere sottoscritta attraverso il sito www.stopiussoli.com

giovedì 7 dicembre 2017

A Colle Oppio Virginia Raggi sfratta la storia della destra romana


da linkiesta.it / di marco sarti

I vigili sono entrati a Colle Oppio alle cinque di mattina del 31 ottobre scorso. Dopo l’irruzione hanno chiuso per morosità la sede di Fratelli d’Italia, messo i sigilli al circolo e cambiato la serratura. Sgombrando in un colpo solo settant’anni di storia politica. È qui, a due passi dal Colosseo, che sorge uno dei luoghi più evocativi della destra italiana. In questa parte dell’Esquilino, dove Traiano aveva edificato le sue terme, si ritrovarono nel dopoguerra i primi esuli istriani e dalmati. 
Scappati a Roma dalle vendette titine, trovarono accoglienza in un locale interrato «che scavarono letteralmente a mani nude», racconta oggi il presidente del circolo Federico Mollicone. Con loro c’erano anche alcuni ex combattenti della Repubblica sociale, rappresentanti di un mondo sconfitto ma ancora vivo.

Nel 1948 a Colle Oppio apre una delle prime sezioni del Movimento Sociale. Viene ribattezzata “Istria e Dalmazia”: un luogo ideale più che una sezione di partito. Le difficoltà di quella comunità rispecchiano l’ambiente. La sede è un locale umido, senza finestre, si trova un metro e mezzo sotto il livello della strada. Tre stanze, bagno e sottoscala. «Uno spazio inadatto a qualsiasi attività pubblica, come ha certificato anche il Campidoglio» insiste Mollicone. «E tutti i giovani che negli anni a seguire sono cresciuti in questo circolo lo sanno bene. Siamo pieni di reumatismi». Qualche giorno fa lo scrittore Antonio Pennacchi ha rivelato di aver frequentato quella sezione durante la sua militanza nera. A Colle Oppio ci ha trascorso una notte nel 1966, “a guardia da temuti attacchi comunisti”. Un bel resoconto, pubblicato sul Fatto, racconta quella comunità e la sua piccola sede. «Solo mattoni sgarrupati sui muri e sulle volte, e secchi per la colla, tavoli e palanche su cui sedersi e manifesti della fiamma. Niente di più, niente d’artistico, solo - al massimo - qualche busto del Duce».

Adesso su quella storia ci sono i sigilli del Campidoglio. Ufficialmente la sindaca Virginia Raggi denuncia una vicenda di morosità, un immobile pubblico con un contratto d’affitto scaduto da quasi mezzo secolo. I militanti cacciati raccontano un’altra verità. La convenzione con il comune risale al 1959, c’è un contratto rinnovato fino al 1972. Poi di quegli accordi si è persa traccia tra i fascicoli conservati nei polverosi archivi capitolini. Fino a quando, sotto il commissario Tronca, l’immobile è tornato di attualità. Pochi anni fa Fratelli d’Italia e il Campidoglio hanno aperto un dialogo per trovare un’intesa economica. L’altra notte, mentre gli eredi del Msi ancora attendevano una risposta dagli uffici del Comune, è arrivato lo sfratto. «Ma non siamo morosi - racconta ancora Mollicone - Come dimostrano gli atti in nostro possesso abbiamo già sanato gli ultimi cinque anni, siamo in regola». È una vicenda di soprusi e potere, dicono i dirigenti di Fratelli d’Italia. Forse persino una vendetta politica. Nel solo centro storico di Roma ci sono quasi 600 immobili pubblici nella stessa situazione - locali di pregio ben maggiore - perché procedere con tanta urgenza a questo sgombro? «È un atto illecito che a pochi giorni dalle elezioni di Ostia colpisce la sede storica del principale partito di opposizione - tuona il presidente - Neanche in Corea del Nord...».

I ricordi tornano al secolo scorso. Per la destra romana questo è un luogo leggendario. Negli anni Cinquanta Colle Oppio diventa il riferimento per le organizzazioni giovanili che gravitano attorno al Movimento Sociale. Ma il ritrovo dei neofascisti è anche un punto di aggregazione per l’intero quartiere. I militanti di allora ricordano la creazione di una improvvisata balera, i tavoli di biliardino. Qualche anno più tardi sarà allestita anche una palestra di pugilato. È un modo per rimanere vicini alle radici popolari del rione, dove già sorgeva l’Audace di Primo Carnera. Negli anni Settanta Colle Oppio deve attraversare gli anni di piombo. Bombe e scontri, agguati e pestaggi. La violenza politica scandisce quel periodo drammatico. Chi conosce le vicende del circolo ricorda almeno tre attentati incendiari, ne seguirà un altro negli anni Novanta. È una storia di sangue che qui non hanno mai dimenticato. Militava a Colle Oppio Stefano Recchioni, una delle tre vittime di Acca Larentia. Era il 1978, ancora oggi nella sede di Fratelli d’Italia è conservato il calco della lapide di bronzo scolpita dalla madre del giovane.

«Per i neofascisti appassionati di Tolkien, quei ruderi sono diventati una nuova “Contea”» ha raccontato Luca Telese nel suo Cuori Neri. «E tutta la toponomastica del quartiere viene ridisegnata e ribattezzata secondo nomi e coordinate immaginarie che riecheggiano la cronaca, la politica, i punti cardine del loro vissuto. Per dire: la scalinata di piazza Iside è stata ribattezzata "scalinata Mantakas”, il confine della zona sicura - la cancellata di via Labicana che delimita il parco di Colle Oppio - è il “muro di Berlino”. Insomma, è la loro Contea. Ma una Contea che al pari delle più insicure cittadelle medievali si sente assediata: gli assalti alla sezione, la guerriglia con i rossi, con gli extraparlamentari di sinistra che si staccano dal corteo ogni volta che passano dalla vicina via Cavour, sono il pane quotidiano».

La storia di questo luogo si perde nelle leggende della destra. Secondo alcuni sarebbe nata proprio in questo circolo l’ostentazione della croce celtica. Il simbolo di una comunità militante che all’inizio, invano, gli stessi dirigenti del Msi provarono a vietare. Probabilmente non è neanche vero. Ma Colle Oppio è anche molto altro. Negli anni Ottanta la sezione diventa un’officina di idee. Avanguardia e tradizione. Cercando di superare il solito approccio nostalgico, si sviluppa l’attenzione per l’ecologia e l’associazionismo. Il circolo missino si lega alla figura di Fabio Rampelli, oggi capogruppo di FdI a Montecitorio, e diventa il luogo di aggregazione della comunità politica dei Gabbiani. Si sperimentano nuovi prodotti editoriali, crescono i gruppi musicali d’area. «Colle Oppio ha anticipato i tempi» racconta orgoglioso il presidente Mollicone. In qualche modo si vogliono tagliare i legami simbolici con un passato che i militanti non hanno vissuto, prima di tutto per motivi anagrafici. Si cercano di superare le contrapposizioni degli anni Settanta tra destra e sinistra. Si organizzano iniziative di solidarietà per i senzatetto del quartiere e nasce una collaborazione con la Caritas di don Luigi Di Liegro. Sono gli anni della metapolitica, la nascita delle strutture di volontariato e le associazioni culturali e ambientaliste. Su tutte Fare Verde, presieduta da Paolo Colli.

Una storia di parte, certo. Legata a un periodo lontano in cui la militanza aveva ancora un significato. Un percorso che arriva fino ai nostri giorni. «Colle Oppio è un santuario della destra, ma anche una comunità viva» spiega Mollicone. Oggi conta seicento iscritti, è il circolo di Fratelli d’Italia più numeroso del Paese. Ospita comitati di quartiere e associazioni. E come spiegano fin troppo orgogliosi i suoi militanti, rappresenta un argine al degrado del parco. «Colle Oppio non è un luogo di individualismi e carrierismo - insiste il presidente - ma il simbolo di una comunità che fa politica». Lo sfratto dei vigili è l’ultima pagina della vicenda. Adesso la comunità di destra si prepara all’ennesima battaglia, stavolta legale. Gli avvocati di Fratelli d’Italia stanno formalizzando gli atti per opporsi all’intervento del Campidoglio. Intanto si valutano gli estremi per procedere contro sindaco e comandante dei vigili per abuso d’ufficio. A mali estremi, qualcuno ha proposto persino di occupare l’immobile. «Siamo sereni ma determinatissimi - dice Mollicone - in ogni caso nessuno ci potrà togliere Colle Oppio».

mercoledì 6 dicembre 2017

Assalti, censure e violenze in università I blitz dei centri sociali non scandalizzano


 da ilgiornale.it
Clima da Repubblica di Weimar, nazismo alle porte, l'ombra nera sull'Italia. Il blitz degli skinhead ha svariati precedenti, ma a sinistra. 


Aggressioni, minacce, lanci di uova, però più politicamente corretti rispetto a quattro teste rasate, e quindi non meritevoli di allarme per la democrazia in pericolo. Eppure a lungo, per un giornalista come Giampaolo Pansa colpevole di aver messo in discussione la vulgata partigiana sulla guerra civile italiana dopo l'8 settembre, è stato quasi impossibile presentare un semplice libro, considerato negazionista dall'estremismo rosso che accoglieva le presentazioni con insulti, minacce, propaganda a pugni chiusi. Qualche cenno di solidarietà in privato dai leader di sinistra, ma mai pubblico, perché Pansa è un diffamatore della Resistenza, un nemico del popolo. Identica sorte toccata ad Angelo Panebianco, editorialista del Corriere e docente all'Università di Bologna: «Fuori i baroni dalla guerra», gli hanno urlato i collettivi lo scorso febbraio, durante la sua lezione. «Panebianco cuore nero», la scritta lasciata dai centri sociali sulla porta del suo ufficio anni fa.

Imbarazzo, silenzio e poco altro anche per Salvini, nel mirino dei centri sociali, più violenti degli skin head, ma col lasciapassare politico. Il leader della Lega è stato aggredito più di una volta, a Bologna gli hanno sfasciato il vetro dell'auto, in Umbria gli antagonisti lo hanno accolto a sputi e cori «stron..», a Napoli hanno scatenato una guerriglia con sassi e molotov, violenze annunciate con la massima tranquillità alla vigilia («Non assicuriamo un corteo pacifico») senza creare indignazione, anzi (il sindaco de Magistris è con i centri sociali). A Milano sempre i centri sociali hanno distrutto un gazebo della Lega e malmenato due militanti. Scene che si ripetono, senza che mai si parli di un «allarme centri sociali», mentre quattro skin bastano per mobilitare le massime istituzioni.
A Daniela Santanchè, donna di destra quindi meno rispettabile, ha raccontato in diretta, mentre discuteva di ius soli con Fiano del Pd (il deputato che vuol mettere in carcere chi ha una immagine di Mussolini in casa) di aver ricevuto un tremendo insulto più minaccia di morte come se niente fosse («Mi è appena arrivato su Twitter Sei una put... da uccidere»).

Ancora a Napoli l'ex candidato sindaco di centrodestra, Gianni Lettieri, denunciò un'aggressione per strada da parte degli attivisti di una casa occupata. Ne sanno qualcosa gli ex ministri Renato Brunetta e Mariastella Gelmini, bersaglio prediletto degli attivisti e centri sociali per le battaglie sui furbetti della pubblica amministrazione e sulla scuola, feudo della contestazione di sinistra. Brunetta, durante un convegno, fu vittima di un blitz della «Rete dei precari» fischi, insulti, striscioni a cui replicò definendoli «l'Italia peggiore». Non l'avesse mai fatto: «Diecimila post di insulti, minacce, addirittura pallottole, sul mio profilo Facebook. Molti legati anche alla mia statura fisica» calcolò l'allora ministro, sempre preciso anche nella contabilità degli insulti ricevuti. Per la Gelmini, si inventò persino un No Gelmini Day, con i collettivi studenteschi in piazza, al grido «Ci vogliono ignoranti, ci avranno ribelli», ma pure senza un chiaro nesso logico «Siamo tutti antirazzisti e antifascisti».
Coi fumogeni e i lanci di uova. Tanto i fascisti sono solo a destra. PBra

domenica 3 dicembre 2017

Il nuovo simbolo di Fratelli d'Italia



Ecco il nuovo simbolo di Fratelli d'Italia
#appelloaipatrioti 

Congresso Fdi, Meloni: "Voglio vincere con il centrodestra"



da ilgiornale.it

Al PalaRubini al lavoro circa 4mila delegati da tutta Italia del partito guidato da Giorgia Meloni. In un incontro coi giornalisti la presidente di Fdi ha detto che vuole "vincere con il centrodestra, l'unico che può dare un governo coeso all'Italia".

Meloni ha ammesso che vi sono ancora "diverse sono le cose da chiarire" nella coalizione, e tal proposito ha annunciato che si ci sarà un incontro con Silvio Berlusconi e Matteo Salvini. Poi ha confermato di essere la candidata alla presidenza del Consiglio di ministri di Fratelli d'Italia, "arrivando dove gli italiani mi faranno arrivare". "Siamo la terza via del centrodestra", ha aggiunto Meloni, che vuole ribadire "prima gli italiani, prima la difesa del nostro lavoro e della nostra identità" perché non vogliamo che "modelli esotici sostituiscano gli italiani". E' ovvio, ha quindi sottolineato, che la leadership nel centrodestra non risolve tutta la questione. Il caso siciliano, ha aggiunto, dimostra che non si vince al centro o con identità sbiadite e un voto a Fdi rappresenta "un voto contro gli inciucio e senza futuri inciuci con Pd e Cinque Stelle": Fdi, ha aggiunto la Meloni, ha messo in sicurezza la storia della destra in Italia, ora però serve un salto di qualità.